Allusioni sessuali sul luogo di lavoro: per il giudice può essere causa di licenziamento

Secondo una recente sentenza della Corte Suprema (Cassazione Civile, Sezione Diritto del Lavoro, 31 luglio 2023) fare inappropriate allusioni sessuali sul luogo di lavoro costituisce una giusta causa di licenziamento. La decisione della Cassazione ha confermato quanto già stabilito dal giudice di primo grado e dalla Corte d’Appello, chiamate a pronunciarsi sul caso di un uomo denunciato da una collega e dalla società presso cui era assunto, per allusioni verbali e molestie fisiche a sfondo sessuale.

Il Testo Unico per le Pari Opportunità del 2006 definisce come “molestie sessuali sul posto di lavoro” non solo le aggressioni fisiche, ma anche tutti i “comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

Oltre a ribadire quanto già previsto dalla legge, la Cassazione ha esplicitato, una volta per tutte, che l’atteggiamento goliardico non è una discriminante. In particolare, la Corte ha valutato che “il carattere comunque indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale” integra il concetto di molestia, “essendo questa (…) fondata sulla oggettività del comportamento tenuto e dell’effetto prodotto. La condotta è illecita anche quando non c’è la volontà del soggetto di recare un’offesa”.

Si tratta di una sentenza molto importante: il segnale che la sensibilità e la consapevolezza sociale sul tema stanno evolvendo.

Cosa devono fare le aziende per prevenire e contrastare fenomeni di sexual harassment? Costruire un ambiente di lavoro che tuteli la dignità di tutti i collaboratori.

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